venerdì 7 settembre 2012

Bindi Presidente del PD è una segregazionista. Su una sua ennesima dichiarazione discriminiatoria contro l'estensione del matrimonio.


Ieri, alla festa democratica di Genova Valerio Barbini, dirigente di Arcigay, ha chiesto a Rosy Bindi, davanti ai microfoni dei giornalisti
Mi può dire perché non vuole che io mi sposi?

Bindi gli ha risposto :
Io ti auguro di fare quello che vuoi nella vita, ma in questo Paese c’è la Costituzione. Il matrimonio è un istituto che è stato pensato storicamente per gli eterosessuali. Potreste avere più fantasia per inventarne uno vostro.

Non è la prima volta che Bindi dimostra di avere un pensiero segregazionista, questo si davvero incostituzionale.

E' ora di cominciare a fare una campagna per chiedere a Bindi di dimettersi E DI LASCIARE LA POLITICA.

Sogno delle lezioni in cui il PD non supera lo sbarramento del 5%.

CHI VOTA IL PD DISCRIMINA ANCHE TE DIGLI DI NON FARLO

Through Giornalettismo

Epifania improvvisa sull'omofobia del coming out

E poi ieri sera, mentre parlavo con un mio amico attore, che aveva interpretato un personaggio descritto secondo me con piglio omofobico, mentre il mio amico mi spiegava i motivi che lo avevano intrigato nell'intepretare quel ruolo, all'improvviso mi si sono aperti gli occhi.
Mentre il mio amico mi spiegava come, dal suo punto di vista d'attore, lo interessava interpretare un omosessuale che aveva problemi ad accettarsi, ho capito il profondo equivoco sull'accettazione di sé e relativo coming out.


Io ho, ma d'ora in poi devo dire avevo, sempre dato per scontato che i problemi di accettazione e annesso coming out fossero problemi contingenti, derivanti dallo stigma con cui l'omosessualità è profondamente criticata (e sto usando un eufemismo) nella società da sempre.

Cioè ne sono ancora convinto. so che è così. Davo per scontato che fosse chiaro anche alle altre persone. Invece non è così.

Quando si capisce che ci piacciono persone dello stesso sesso e non accettiamo questo nostro orientamento sessuale è perchè siamo cresciuti in una società che considera l'omosessualità un insulto, una malattia, e, (dis)educati (d)a questo pensiero facciamo fatica a sottrarcene.

Ieri sera mi è stato chiaro che molti dimenticano il peso dello stigma e pensano che la non accettazione di sé possa avvenire spontaneamente, come se insomma, l'omosessualità di per sè non sia proprio una cosa positiva e il coming out sia un percorso di dolorosa accettazione di quello che siamo.

Come scoprire che si è rimasti paralizzati dopo un incidente e che resteremo per sempre sulla sedia a rotelle.

Va bene, paragone infelice.

Se non posso camminare si vede mentre posso fingermi non gay anche per tutta una vita.
Ma avete capito il senso, no?

L'omosessualità è ancora vista come qualcosa di non è naturale, non è una opzione standard, è una cosa che che una volta, l'uomo antico, barbaro e intollerante sopprimeva, un po' come gli spartani coi bambini storpi, e che oggi, noi moderni e tolleranti, difendiamo, tuteliamo, garantiamo.

Mentre realizzavo tutto ciò mi mancaca l'aria e non, come ho credono lì per lì per il raffreddore che mi attanaglia, ma per un sentire comune che tocca molti di noi, uomini e donne, etero, gay e bisex.

Se ti scopri frocio o lesbica la botta è forte di per sé, non per lo stigma.

Certo mi è bastato chiedere a il mio amico ma scusa non credi che chi ha problemi di accettazione li abbia a causa della pressione sociale esterna? per vedergli cambiare espressione, per comprendere qualcosa cui forse fino a quel momento non aveva pensato mai, ma quanti altri la pensano come lui?

Magari persone omosessuali, che ci fanno anche film (e ci scrivono libri) come Roberto Proia?
Nel suo libro Come non detto il manuale del perfetto coming out Sonzogno, Venzia 2012 Roberto paragona il coming out a un red carpet attorno al quale avremo famigliari amici e parenti. Un red carpet, dice, che può sembrarci lungo e accidentato

soprattutto se lo sbirciamo dall'armadio in cui ci siamo rinchiusi, per colpa delle circostanze, della paura e della nostra vocina interiore che ci diceva di stare attenti, che non era il momento giusto e che gli altri non erano pronti, che infondo erano solo fatti nostri e che non c'era bisogno di uscire di lì.
Sono stra convinto della buona fede con cui Roberto ha scritto queste parole, ma le trovo davvero penose.

Trent'anni di craxismo, prima, e berlusconismo, poi, ci hanno davvero ridotto ai minimi termini tanto da farci dimenticare della profonda e importante dimensione politica del privato.

Non ci siamo richiusi in un armadio è la società che ci ha rinchiuso, quella stessa società che ancora 40 anni fa, rinchiudeva le persone omosessuali nei manicomi e cercava di curarle a suon di elettroshock e coma insulinici.In Italia. Nel 1971.


Non si tratta di circostanze ma di discriminazione, di odio feroce, di violenza omicida, fascista e intollerante.


La paura non è intrinseca all'omosessualità nasce dal temere per la propria vita, per la propria incolumità.
Ancora oggi, nel 2012 i gay che hanno già fatto coming uot vengono picchiati, sputati, accoltellati.
Qui, nella civile Italia non nei paesi arabi. Lì vengono direttamente impiccati.

Queste non sono circostanze. e' stigma, è intolleranza. E' discriminazione, della chiesa che dice che siamo moralmente disordinati, dello stato che non ci riconosce diritto a sposarci perchè non abbiamo dignità di famiglia in quanto sterili tra di noi.
 
Quella vocina interna non nasce spontaneamente, nasce perchè tutti e tutte siamo stati educati a credere che l'omosessualità è un male.
Anzi è IL male, come spiega nel 1993 Joe Miller (Denzel Washington) ad Andrew Beckett (Tom Hanks) nel film Philadelphia (Usa, 1993) di Jonathan Demme.

Voglio dirti una cosa, Andrew. Quando ti educano come hanno educato me e la maggior parte della gente in questo paese ti assicuro che nessuno ti viene a parlare di omosessualità oppure – come dite voi – stile di vita alternativo. Da bambino ti insegnano che i finocchi sono strani, i finocchi sono buffi, i finocchi si vestono come la madre, che hanno paura di battersi, che sono… sono un pericolo per i bambini, e che vogliono solamente entrarti nei pantaloni. Questo riassume più o meno il pensiero generale, se vuoi proprio sapere la verità. 

Ma questo, a quanto pare, come ho improvvisamente capito ierisera, lo sappiamo ancora in troppo troppo pochi.

Tutti gli altri  e le altre pensano che il percorso di accettazione sia un passaggio naturale non indotto dallo stigma esterno ma dalla dolorosa condizione di per sé dell'omosessualità che non posiamo che accettare  ma,certo, se ci fosse la pillola dell'eterosessualità...

Così, ierisera, mentre cercavo di respirare, mi sono venute in mente tutte le volte che notavo questo modo di pensare al coming out, tutte le volte che le varie associazioni fanno video, e campagne di sensibilizzazione mostrando l'omosessualità come un problema oggettivo e non come un problema indotto dallo stigma sociale.

La testimonianza delle persone omosessuali parte sempre dal presupposto sbagliato.
Non si risponde alla domanda quando sei stato discriminato la prima volta perchè sei omosessuale ma quando hai scoperto di essere così? Che suona un po' come, quando ha scoperto di essere ciliaco, diabetico, distrofico.

Cioè condizioni che DI PER SE' hanno un aspetto problematico e che deroga dalla normalità. L'omosessualità no.

E non lo dico io.

Lo dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità: una variante naturale del comportamento umano.

Vediamo di non dimenticarcelo.